lunedì 27 ottobre 2008

Ancora sui wiki

Per rimanere in tema di wiki, ho trovato che Kristen Fouss ha realizzato un bel wiki matematico.

La pagina introduttiva specifica che questo wiki, una collezione di appunti o un riassunto dei contenuti di alcuni corsi, è stato realizzato dai componenti delle sue classi.

Quando l'ho visto per la prima volta, io sono rimasto abbastanza colpito. Pensare che io ho impiegato due ore (rete lenta, uno che non si ricorda la password del proprio indirizzo di posta elettronica, un altro che si dimentica la password del wiki, due che condividono lo stesso computer, uno che dà un calcio al cavo di alimentazione e blocca il lavoro di un altro, la prova di evacuazione, la bidella con gli avvisi...) in laboratorio per far sì che tutti i miei studenti potessero iscriversi al wiki che dovranno usare... Quanto tempo può essere necessario per realizzare un lavoro come quello? E gli esercizi? Dopo aver dedicato un mese di tempo per fare un wiki, gli studenti sono in grado di risolvere gli immancabili esercizi che bisogna sappiano risolvere perché hanno l'esame di maturità?

Allora dopo il momento di sconforto, torno alla mia filosofia spiccia, e mi ripeto il mio mantra: il wiki è uno strumento a servizio della didattica, non è il cuore di quello che stai facendo. Che in questo caso vuol dire: se ci riesci, bene, se no, pazienza.

Nel post Wiki in prima e seconda liceo riportavo le conclusioni di un'indagine tra i partecipanti delle mie quattro classi al lavoro sul wiki svolto l'anno scorso. Secondo me ci sono importanti indicazioni sul fatto che si tratti di un modo proficuo di lavorare.

  1. Prima di tutto direi che è interessante notare che tutti gli studenti abbiano trovato aspetti positivi, motivanti, nell'attività svolta.
  2. La maggior parte degli studenti, inoltre, ha apprezzato il lavoro collaborativo che con i wiki è possibile svolgere. Questo, in realtà, non è una caratteristica necessaria del wiki, ma piuttosto dell'organizzazione del lavoro che vi sta dietro.
  3. E' ancora interessante notare come alcuni studenti siano stati facilitati in una riflessione metacognitiva da questo lavoro: alcuni infatti sono stati in grado di esprimere pareri circa l'utilità della metodologia didattica sui vari apprendimenti richiesti.
Mi pare che, da soli, questi tre obiettivi valgano la pena di essere perseguiti in modo prioritario e giustifichino l'adozione di una metodologia didattica indipendentemente da altre considerazioni: se ho strumenti didattici in grado di a) motivare gli studenti allo studio, b) condurre gli studenti a vivere la costruzione del sapere in modo collaborativo e c) suscitare in loro un'attenzione allo stato del proprio sapere, una capacità critica rispetto ai propri apprendimenti, io direi che questi strumenti debbano essere usati.

Sono perfettamente consapevole del fatto che un wiki, da solo, non è la soluzione dei problemi della didattica. Sono altrettanto conscio del fatto che vi sono altri strumenti in grado di portare a questo, persino la tanto vituperata lezione frontale, se ben preparata e gestita. E quest'ultima cosa mi rincuora in particolare visto lo stato talvolta fatiscente delle strutture informatiche all'interno di alcune nostre scuole.

Tuttavia, ritengo che lavorare con un wiki, oggigiorno, sia un'esperienza didattica eccellente, sia per gli studenti che per i docenti. Non ho remore ad ammettere che, non conoscendo se non marginalmente l'uso dei wiki prima di questa sperimentazione didattica, dopo di essa ho adottato sul mio computer un wiki (Mediwiki) in locale, che oggi uso ampiamente per l'organizzazione tanto delle cose di scuola quanto di quelle di casa.

E la stessa cosa può accadere agli studenti. Il valore non sta tanto nell'organizzarsi meglio, ma nel saper trasferire ciò che si apprende a scuola nella propria vita quotidiana, nel saper integrare i metodi di lavoro, ricerca e cooperazione, elaborazione e costruzione, analisi e sintesi, nel proprio agire quotidiano. Tutte cose che OCSE-PISA non misurerà mai, ma che, secondo me, valgono il doppio di tutte le nozioni ricevute e perse nelle nostre scuole.

Il perché del mio no alle ultime novità nella scuola

Una parentesi che mi sta a cuore e non c'entra con il web 2.0 nell'istruzione, ma con l'istruzione in Italia.

Premessa. Questa primavera, a risultati elettorali ormai sicuri, io, deluso, dicevo a un mio collega decisamente contento, che mi rassicurava almeno il fatto che avremmo visto un'ampia maggioranza parlamentare in grado di non temere il confronto con l'opposizione e di proporre riforme inderogabili come quella del mondo della scuola, ponendo fine a un immobilismo che durava da otto anni.

Non si tratta di una riforma. Riformare, dare nuova forma, formare di nuovo. Cosa? Dietro l'idea di riforma ci sta, a mio avviso, l'idea di sistema. La riforma del sistema bancario, del sistema sanitario (o della sanità), del sistema scolastico (o della scuola). Mentre si ha la riorganizzazione degli uffici scolastici, il ridimensionamento delle istituzioni scolastiche, e così via per i cambiamenti locali, non globali di sistema. Tutte le innovazioni introdotte dal decreto-legge 137, tranne quelle previste dall'articolo 4, sono tali da non meritare il titolo di "riforma". Si tratta, nella sostanza, di variazioni di impatto decisamente non sistemico.

Ma l'articolo 4? L'articolo 4, quello che parla dell'insegnante unico ("unico", non "prevalente"; legga, Presidente, legga bene!), invece, mi pare abbia decisamente un'altra portata. Va a modificare completamente l'assetto della scuola primaria. Ma, ancora, non siamo a livello di riforma. Forse un pezzettino di riforma, però, sì.

Il decreto-legge 112, convertito come legge 133 6 agosto 2008, all'articolo 64, parla di "razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali" tramite: razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso, per una maggiore flessibilità nell'impiego dei docenti; ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali; revisione dei criteri vigenti in materia di formazione delle classi; rimodulazione dell'attuale organizzazione didattica della scuola primaria; revisione dei criteri e dei parametri vigenti per la determinazione della consistenza complessiva degli organici del personale docente ed ATA, finalizzata ad una razionalizzazione degli stessi; ridefinizione dell'assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, previsto dalla vigente normativa.

E' qui la riforma! Mettendo insieme tutti questi obiettivi, approvati in clima balneare e da perseguirsi nell'arco di dodici mesi, si realizza una "revisione dell'attuale assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico". Non chiamiamola riforma. Ma cos'è, in effetti se non una riforma del sistema scolastico? Una riforma a pezzetti, come spesso avviene, guidata da un obiettivo, quello specificato nel decreto-legge 112, dal titolo e dal capo a cui l'articolo 64 appartiene: "Stabilizzazione della finanza pubblica - Contenimento della spesa per il pubblico impiego". Il che vuol dire che, se il decreto-legge 137, che tanto vespaio ha sollevato, è una applicazione (e questo viene esplicitamente dichiarato) di quanto stabilito dalla legge 133, vi saranno altri decreti che proseguiranno il cammino guidato da tale legge e che si occuperanno degli altri aspetti citati sopra.

Qui motivo il mio no. Per me una riforma ha alcune caratteristiche fondamentali:
- viene proposta dopo un'accurata analisi complessiva, globale;
- viene discussa ed elaborata con i contributi di tutte i ruoli e le funzioni che appartengono al sistema;
- ha come obiettivo il miglioramento del funzionamento del sistema stesso.
L'analisi a cui la Ministra ha fatto riferimento sono statistiche. Chi s'intende di statistiche sa che ve n'è per tutti i gusti e si può produrre una statistica per giustificare una particolare tesi e una per giustificare il suo contrario. Basta scegliere gli indicatori giusti e i dati giusti. Le statistiche non sono un'analisi.
La discussione non c'è stata. Dall'approvazione della legge, il 6 agosto, alla presentazione del primo decreto-legge applicativo, 1 settembre, che confronto può esserci stato? Che contributi possono essere stati sentiti? Le motivazioni pedagogiche sono un po' come le statistiche: posso trovare ottime e condivisibili motivazioni pedagogiche per mettere in cattedra solo donne con un'età pari o superiore ai 50 anni e uomini calvi, e studiosi che si prestano a pubblicarle o che le hanno già pubblicate, e altrettanto buone e apprezzabili motivazioni pedagogiche per mettere in cattedra solo uomini con folte capigliature e donne al di sotto dei 50 anni, e altrettanto stimabili ricercatori in grado di produrre bibliografia a riguardo.
L'obiettivo non è il miglioramento del funzionamento del sistema stesso. L'obiettivo è il risparmio. Lo dice il decreto-legge 112/legge 133. E' vero, il risparmio è finalizzato a un ritorno d'investimento anche all'interno del sistema scolastico. Ma vi sono alcuni indicatori che, a mio avviso, sono molto preoccupanti sul versante "funzionamento".

87000 posti in meno, ma nessuno licenziato. Sempre il decreto-legge 112. Le alternative sono la soppressione fisica, il pensionamento forzato o qualcuno non verrà chiamato a lavorare. Nessuno verrà licenziato. Certo, i precari non si licenziano: il loro contratto scade e magari non viene rinnovato. Magari dopo dieci anni di precariato, dieci anni di servizio (servizio!), magari lontano da casa, magari viaggiando e rischiando la vita sulle strade ogni giorno, magari con l'assurda speranza che un giorno il contratto a tempo determinato possa trasformarsi a tempo indeterminato, che si possa lavorare in pace per due anni consecutivi con gli stessi alunni, programmando, dando il meglio di sé, instaurando rapporti con gli alunni. Fa bene la Ministra a dire che non è colpa sua, ma della Sinistra che li ha illusi. Bisognerebbe far notare però alla Ministra che è lo Stato (certo, durante i periodi di governo di centro-sinistra, ma anche durante i periodi di centro-destra, di poco più brevi, da quando centro-sinistra e centro-destra hanno significato in Italia) che si è servito di loro per svolgere un compito costituzionale. Che se non ci fossero stati loro, ci sarebbe stato un buco. Che hanno fatto il bene di questo Paese, loro. Ma coraggio, precario, non sarai licenziato...

Ci sono più bidelli che carabinieri. Nel decreto 112 si parla di una forte riduzione della dotazione ATA. La ragione è che "ci sono più bidelli che carabinieri". Ottimo ragionamento demagogico, ma che poco fa onore alle capacità logiche e razionali di chi lo propone. E' ovvio che ci deve essere un numero congruo di ATA e di CC rispetto ai compiti che hanno e che sono, per ora, molto differenti. Può anche darsi che gli ATA siano troppi rispetto ai compiti che svolgono, ma i Carabinieri non c'entrano nulla. Purtroppo non si legge che gli ATA, pur essendo troppi, spesso non riescono a tener dietro ai compiti che hanno. Non si legge che bisogna riqualificare gli ATA "rimasti" per dar loro gli strumenti (che spesso esistono) per svolgere meglio e più velocemente i loro compiti. Riqualificare costa. No, si legge solo della riduzione dell'organico. E allora le nostre scuole funzioneranno peggio.

Accorpare le classi di concorso per una maggiore flessibilità nell'impiego dei docenti. E la flessibilità dovrebbe far funzionare quindi meglio la scuola? Oggigiorno, a livello mondiale, ogni disciplina sta continuando o iniziando a sviluppare una didattica propria, con particolari metodologie e contenuti. Laddove è richiesta specializzazione, la soluzione è la flessibilità, categoria così importante nel mondo dell'impresa? Ma la scuola non è un'impresa. Vuol dire che d'improvviso un docente che fino all'anno precedente insegnava fisica potrebbe trovarsi ad insegnare biologia. Magari ne sa anche qualcosa, di biologia, e posso testimoniare in prima persona che non è necessariamente vero. Ma di didattica della biologia (quando persino il docente di biologia magari ne è a digiuno)? Riqualificare, di nuovo, costa. E allora le nostre scuole funzioneranno peggio.

Il 30%. E' la quota di risparmio destinata alle "risorse contrattuali dirette alla valorizzazione e allo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola". Che vuol dire: se alla fine ci sei ancora, e pur trovandoti in una situazione peggiore, fai "qualcosa", lo Stato te lo riconosce. Bisogna capire che cos'è questo "qualcosa", come si misura il merito. Essendo noi in Italia, temo il peggio.

Eccetera. Quello che intendo dire, in definitiva, è che se l'unico criterio per riformare la scuola è quello economico, non vedo come le cose possano migliorare. E non parlo di migliorare dal punto di vista dei docenti. Il mio punto di vista è quello degli studenti: che scuola vivranno i nostri figli?

I tagli necessari. Capisco: a livello di bilancio dello Stato sono necessari tagli. Ma è anche necessaria una riforma della scuola. Si poteva cogliere l'occasione di far due cose bene invece di una bene (?) e una male. Di investire a lungo termine e non solo a breve-medio termine. Ma i nostri politici, pare, si sono abituati ad essere miopi.