lunedì 27 ottobre 2008

Il perché del mio no alle ultime novità nella scuola

Una parentesi che mi sta a cuore e non c'entra con il web 2.0 nell'istruzione, ma con l'istruzione in Italia.

Premessa. Questa primavera, a risultati elettorali ormai sicuri, io, deluso, dicevo a un mio collega decisamente contento, che mi rassicurava almeno il fatto che avremmo visto un'ampia maggioranza parlamentare in grado di non temere il confronto con l'opposizione e di proporre riforme inderogabili come quella del mondo della scuola, ponendo fine a un immobilismo che durava da otto anni.

Non si tratta di una riforma. Riformare, dare nuova forma, formare di nuovo. Cosa? Dietro l'idea di riforma ci sta, a mio avviso, l'idea di sistema. La riforma del sistema bancario, del sistema sanitario (o della sanità), del sistema scolastico (o della scuola). Mentre si ha la riorganizzazione degli uffici scolastici, il ridimensionamento delle istituzioni scolastiche, e così via per i cambiamenti locali, non globali di sistema. Tutte le innovazioni introdotte dal decreto-legge 137, tranne quelle previste dall'articolo 4, sono tali da non meritare il titolo di "riforma". Si tratta, nella sostanza, di variazioni di impatto decisamente non sistemico.

Ma l'articolo 4? L'articolo 4, quello che parla dell'insegnante unico ("unico", non "prevalente"; legga, Presidente, legga bene!), invece, mi pare abbia decisamente un'altra portata. Va a modificare completamente l'assetto della scuola primaria. Ma, ancora, non siamo a livello di riforma. Forse un pezzettino di riforma, però, sì.

Il decreto-legge 112, convertito come legge 133 6 agosto 2008, all'articolo 64, parla di "razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali" tramite: razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso, per una maggiore flessibilità nell'impiego dei docenti; ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali; revisione dei criteri vigenti in materia di formazione delle classi; rimodulazione dell'attuale organizzazione didattica della scuola primaria; revisione dei criteri e dei parametri vigenti per la determinazione della consistenza complessiva degli organici del personale docente ed ATA, finalizzata ad una razionalizzazione degli stessi; ridefinizione dell'assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, previsto dalla vigente normativa.

E' qui la riforma! Mettendo insieme tutti questi obiettivi, approvati in clima balneare e da perseguirsi nell'arco di dodici mesi, si realizza una "revisione dell'attuale assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico". Non chiamiamola riforma. Ma cos'è, in effetti se non una riforma del sistema scolastico? Una riforma a pezzetti, come spesso avviene, guidata da un obiettivo, quello specificato nel decreto-legge 112, dal titolo e dal capo a cui l'articolo 64 appartiene: "Stabilizzazione della finanza pubblica - Contenimento della spesa per il pubblico impiego". Il che vuol dire che, se il decreto-legge 137, che tanto vespaio ha sollevato, è una applicazione (e questo viene esplicitamente dichiarato) di quanto stabilito dalla legge 133, vi saranno altri decreti che proseguiranno il cammino guidato da tale legge e che si occuperanno degli altri aspetti citati sopra.

Qui motivo il mio no. Per me una riforma ha alcune caratteristiche fondamentali:
- viene proposta dopo un'accurata analisi complessiva, globale;
- viene discussa ed elaborata con i contributi di tutte i ruoli e le funzioni che appartengono al sistema;
- ha come obiettivo il miglioramento del funzionamento del sistema stesso.
L'analisi a cui la Ministra ha fatto riferimento sono statistiche. Chi s'intende di statistiche sa che ve n'è per tutti i gusti e si può produrre una statistica per giustificare una particolare tesi e una per giustificare il suo contrario. Basta scegliere gli indicatori giusti e i dati giusti. Le statistiche non sono un'analisi.
La discussione non c'è stata. Dall'approvazione della legge, il 6 agosto, alla presentazione del primo decreto-legge applicativo, 1 settembre, che confronto può esserci stato? Che contributi possono essere stati sentiti? Le motivazioni pedagogiche sono un po' come le statistiche: posso trovare ottime e condivisibili motivazioni pedagogiche per mettere in cattedra solo donne con un'età pari o superiore ai 50 anni e uomini calvi, e studiosi che si prestano a pubblicarle o che le hanno già pubblicate, e altrettanto buone e apprezzabili motivazioni pedagogiche per mettere in cattedra solo uomini con folte capigliature e donne al di sotto dei 50 anni, e altrettanto stimabili ricercatori in grado di produrre bibliografia a riguardo.
L'obiettivo non è il miglioramento del funzionamento del sistema stesso. L'obiettivo è il risparmio. Lo dice il decreto-legge 112/legge 133. E' vero, il risparmio è finalizzato a un ritorno d'investimento anche all'interno del sistema scolastico. Ma vi sono alcuni indicatori che, a mio avviso, sono molto preoccupanti sul versante "funzionamento".

87000 posti in meno, ma nessuno licenziato. Sempre il decreto-legge 112. Le alternative sono la soppressione fisica, il pensionamento forzato o qualcuno non verrà chiamato a lavorare. Nessuno verrà licenziato. Certo, i precari non si licenziano: il loro contratto scade e magari non viene rinnovato. Magari dopo dieci anni di precariato, dieci anni di servizio (servizio!), magari lontano da casa, magari viaggiando e rischiando la vita sulle strade ogni giorno, magari con l'assurda speranza che un giorno il contratto a tempo determinato possa trasformarsi a tempo indeterminato, che si possa lavorare in pace per due anni consecutivi con gli stessi alunni, programmando, dando il meglio di sé, instaurando rapporti con gli alunni. Fa bene la Ministra a dire che non è colpa sua, ma della Sinistra che li ha illusi. Bisognerebbe far notare però alla Ministra che è lo Stato (certo, durante i periodi di governo di centro-sinistra, ma anche durante i periodi di centro-destra, di poco più brevi, da quando centro-sinistra e centro-destra hanno significato in Italia) che si è servito di loro per svolgere un compito costituzionale. Che se non ci fossero stati loro, ci sarebbe stato un buco. Che hanno fatto il bene di questo Paese, loro. Ma coraggio, precario, non sarai licenziato...

Ci sono più bidelli che carabinieri. Nel decreto 112 si parla di una forte riduzione della dotazione ATA. La ragione è che "ci sono più bidelli che carabinieri". Ottimo ragionamento demagogico, ma che poco fa onore alle capacità logiche e razionali di chi lo propone. E' ovvio che ci deve essere un numero congruo di ATA e di CC rispetto ai compiti che hanno e che sono, per ora, molto differenti. Può anche darsi che gli ATA siano troppi rispetto ai compiti che svolgono, ma i Carabinieri non c'entrano nulla. Purtroppo non si legge che gli ATA, pur essendo troppi, spesso non riescono a tener dietro ai compiti che hanno. Non si legge che bisogna riqualificare gli ATA "rimasti" per dar loro gli strumenti (che spesso esistono) per svolgere meglio e più velocemente i loro compiti. Riqualificare costa. No, si legge solo della riduzione dell'organico. E allora le nostre scuole funzioneranno peggio.

Accorpare le classi di concorso per una maggiore flessibilità nell'impiego dei docenti. E la flessibilità dovrebbe far funzionare quindi meglio la scuola? Oggigiorno, a livello mondiale, ogni disciplina sta continuando o iniziando a sviluppare una didattica propria, con particolari metodologie e contenuti. Laddove è richiesta specializzazione, la soluzione è la flessibilità, categoria così importante nel mondo dell'impresa? Ma la scuola non è un'impresa. Vuol dire che d'improvviso un docente che fino all'anno precedente insegnava fisica potrebbe trovarsi ad insegnare biologia. Magari ne sa anche qualcosa, di biologia, e posso testimoniare in prima persona che non è necessariamente vero. Ma di didattica della biologia (quando persino il docente di biologia magari ne è a digiuno)? Riqualificare, di nuovo, costa. E allora le nostre scuole funzioneranno peggio.

Il 30%. E' la quota di risparmio destinata alle "risorse contrattuali dirette alla valorizzazione e allo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola". Che vuol dire: se alla fine ci sei ancora, e pur trovandoti in una situazione peggiore, fai "qualcosa", lo Stato te lo riconosce. Bisogna capire che cos'è questo "qualcosa", come si misura il merito. Essendo noi in Italia, temo il peggio.

Eccetera. Quello che intendo dire, in definitiva, è che se l'unico criterio per riformare la scuola è quello economico, non vedo come le cose possano migliorare. E non parlo di migliorare dal punto di vista dei docenti. Il mio punto di vista è quello degli studenti: che scuola vivranno i nostri figli?

I tagli necessari. Capisco: a livello di bilancio dello Stato sono necessari tagli. Ma è anche necessaria una riforma della scuola. Si poteva cogliere l'occasione di far due cose bene invece di una bene (?) e una male. Di investire a lungo termine e non solo a breve-medio termine. Ma i nostri politici, pare, si sono abituati ad essere miopi.