Un post che mi sento di fare oggi riguarda un incontro avuto con alcuni studenti delle classi quinte della mia scuola (ma nessuno è uno studente delle mie classi), nell'ambito di un progetto rivolto alle cosiddette "eccellenze". Qualcosa che mi ha toccato.
La mia cara ed eccellente collega di italiano fa un po' di scena, impersonando la tipica docente che ha come impegno contrattuale quello di trasmettere dei saperi, punto e basta. La sua tesi: di simili docenti non c'è bisogno. Gli studenti sono in difficoltà cercando di mostrare invece che dei prof c'è bisogno. Uno dice che partecipano alla crescita dei loro alunni. Un'altra ribalta la questione: perché noi tre (c'era anche il collega di filosofia) facciamo gli insegnanti? La collega di italiano mi passa la palla.
La mia risposta è più o meno letteralmente questa.
"Mi è capitato nei giorni scorsi, girovagando per internet, di imbattermi nel sito di una collega indiana che non dice «insegnare la matematica», ma «insegnare a imparare la matematica». Ecco, io penso che uno dei regali più grandi e belli che si possano fare a dei giovani, forse il più grande e bello, è quello di insegnar loro ad apprendere. Ed ecco spiegato il mio mestiere".
Lo dico ormai sulla soglia della classe, poi me ne vado per non perdere il treno.
Però ci ripenso e continuo a ripensarci. Come aprire una finestra in una stanza che spesso rimane chiusa: la polvere vola via e i colori tornano a splendere.
Non so se ci siano mestieri più brutti di altri. Ma certamente non ce n'è uno più bello del mio: fare a dei giovani (e vedo i loro volti davanti a me) il più bello dei regali.
giovedì 3 aprile 2008
Il mio mestiere
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