Una mia collega di materie letterarie nega qualsiasi diritto di cittadinanza all'informatica nella scuola. Di fatto, in tante situazioni l'informatica c'è (o ci dovrebbe essere) ma non si vede...
Ma prendiamolo come dato di fatto: per qualche strana ragione, l'informatica è presente all'interno delle nostre scuole. Perché? Come interpretare questa presenza che, francamente, qualche volta può anche apparire inquietante?
In prima approssimazione, direi che un modo per vederla può essere come "fine": dobbiamo insegnare ai nostri studenti alcune abilità tecnologiche (perché servono nel mondo del lavoro, probabilmente) e le ore di informatica a questo sono deputate.
In alcuni indirizzi di scuole tecniche o professionali questo è certamente il caso: dove effettivamente ci sono contenuti da trasmettere. In altri casi, credo sia facile convenire con me, siamo perdenti in partenza: "ne sanno più di noi", sono loro, i nostri studenti, gli autoctoni nel mondo digitale, mentre noi solo immigrati, per usare un'immagine oggi di moda e che sta riscuotendo giusta fortuna.
Oppure possiamo considerarla un "mezzo" per arrivare a qualcos'altro. Già mi piace questa prospettiva, perché apre una nuova domanda: per arrivare a cosa? Proverei a lasciarmi provocare da questa domanda: quali abilità/competenze sono attingibili tramite le tecnologie, per mezzo loro? Secondo me questo può aiutarci a rispondere anche alla domanda sulla dignità delle tecnologie nella scuola.
martedì 11 marzo 2008
Fine o mezzo
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didattica,
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